H. ARENDT: Il pensiero politico
H. ARENDT: IL PENSIERO POLITICO
NOTAZIONI BIOGRAFICHE
H. Arendt è nata ad Hannover (1906), dove si era trasferita la famiglia originaria di Konigsberg,(1906-1975), i genitori erano di idee socialdemocratiche; il padre, ingegnere in un’azienda elettrica, morirà, ancora giovane, nel 1913. H. Arendt fu molto precoce: terminati la scuola secondaria in giovanissima età, si iscrisse alla facoltà di filosofia, dopo la lettura della “Critica della Ragion pura” di Kant e l’opera di Jaspers “Psicologia delle visioni del mondo.” Frequentò le università di Marburgo, Heidelberg, e Friburgo dove seguì le lezioni di Heidegger, di cui subì il fascino. Con Heidegger ebbe una relazione che può essere distinta in tre periodi: il primo, iniziato nel novembre del 1924, si protrasse sino alla fine degli anni venti; seguì un’interruzione di quasi vent’anni, nel 1950 ha inizio il secondo periodo durato circa cinque anni, segue una nuova interruzione e,infine, dal 1961, sino alla morte di H. Arendt nel 1975, si situa il terzo periodo della loro relazione.
All’ inizio fu un colpo di fulmine; nel febbraio 1925 Heidegger le scriveva: “Una forza demoniaca mi ha colpito. Il silenzioso pregare delle tue care mani e la tua fronte luminosa l’hanno protetta in una trasfigurazione femminile.
Non mi era mai accaduta una cosa del genere.
Sotto il temporale, sulla via del ritorno, eri ancora più bella grandiosa. E io avrei voluto trascorrer con te notti intere a passeggiare.”[1] La Arendt, nel 1928, conseguì il dottorato con una tesi sull’amore in Sant’Agostino, proseguì gli studi di filosofia, di teologia e di greco; un’importante svolta nella sua vita si verificò nel 1929: il 26 settembre si sposò con Gunther a Nowawes, presso Berlino. L’aveva conosciuto nel 1925 a Marburg durante un seminario di Heidegger, e l’aveva nuovamente incontrato a Berlino all’ inizio del 1929; il matrimonio durò solo alcuni anni, infatti si separarono nel 1937, quando H.Arendt era ancora a Parigi e Gunther si trovava già negli Stati Uniti.
Alla vigilia del matrimonio, o lo stesso giorno, H. Arendt scrisse a Heidegger una lettera che rivela come un profondo sentimento, legasse la giovane studiosa ad Heidegger, tanto che la loro relazione durò tutta la vita. Nella lettera H. Arendt ricorda l’ ultimo incontro a Heidelberg con Heidegger e gli rivolge l’ antica richiesta di non dimenticarla e di non dimenticare quanto sia forte e profonda in lei la consapevolezza che il loro amore è diventato la benedizione della sua vita e aggiunge; “Questa consapevolezza non deve vacillare, neppure oggi, quando ho trovato delle radici e un senso di appartenenza che allevia la mia inquietudine accanto a un uomo, che ben difficilmente potresti comprendere.”[2].
Certamente non fu un matrimonio di amore, almeno da parte di H. Arendt che, nel 1950, in una lettera alla moglie di Heidegger, Elfride, afferma di essersi sposata con “un uomo che non amava”, giusto per sposarsi.[3]
Certamente non fu un matrimonio di amore, almeno da parte di H. Arendt che, nel 1950, in una lettera alla moglie di Heidegger, Elfride, afferma di essersi sposata con “un uomo che non amava”, giusto per sposarsi.[3]
H. Arendt e il marito si stabilirono a Francoforte; Gunther sperava di ottenere l’abilitazione sotto la direzione del teologo Paul Tillich, ma l’ assistente di Tillich Theodor, Adorno osteggiò il progetto; Gunther, allora, si dedicò al giornalismo. Intanto una gravissima crisi si profilava per l’ Europa: dopo il crollo di Wall Street (ottobre 1929), si verificarono fallimenti a catena e si verificò un forte aumento della disoccupazione; in Germania nel 1932/33 i disoccupati erano circa sei milioni; si rafforzò il partito nazista che, nelle elezioni del 1930 e del 1937, ottenne il 37% dei voti; una larga maggioranza degli intellettuali appoggiarono Hitler. Dopo l’incendio del Reichstag (27febbraio 1933), Gunther lasciò la Germania, H. Arendt si trasferì dapprima in Svizzera e, successivamente, a Parigi, dove partecipò all’attività della Youth Alliyah, agenzia ebraica che si occupava di favorire e finanziare l’ emigrazione in Palestina degli Ebrei che provenivano dall’ Europa centrale e orientale; la stessa Arendt accompagnò un gruppo di giovani in Palestina dove poté conoscere i Kibbutz che apprezzò per l’ attività di formazione professionale e d’istruzione che svolgevano per i ragazzi; inoltre nel 1936 assistette al Congresso ebraico mondiale di Ginevra.
A Parigi conobbe Heinrich Blucher che sposò nel 1940 e ebbe rapporti di amicizia con W. Benjamin, frequentò Raymond Aron e Bertold Brecht; svolse attività di pubblicista, seguì i seminari hegeliani tenuti da Kojève.
In seguito all’occupazione tedesca della Francia, fu internata, insieme alla madre, che era emigrata a Parigi, dal governo di Vichy nel campo di Gurs come straniera sospetta, ma venne rilasciata e riuscì, con la madre e il marito, s’imbarcò per New York, prima che gli ebrei fossero consegnati ai nazisti secondo le clausole dell’armistizio firmato da Petain. Alla fuga partecipò anche W. Benjamin anch’ egli per rifugiarsi negli Stati Uniti, ma giunti alla frontiera spagnola si suicidò.
Trasferitasi negli USA collaborò alla pubblicistica ebraica, anche se non condivideva numerose posizioni degli ebrei statunitensi. Finita la guerra H. Arendt, nel 1950, tornò in Europa e il 7 febbraio incontra Heidegger a Friburgo; le lettere che H. Arendt e Heidegger si sono scambiati dal 1950 al 1954 e dal 1966 al 1975, testimoniano il profondo legame affettivo che esisteva tra loro: “Il dono del ritorno e del raccogliersi di cinque lustri sgomenta il mio pensiero incessantemente. In esso tu, da più lontano oltre il mare, sei vicina e presente, anche solo pensando alle cose più amate qui e a tutte le cose che ti appartengono…… Com’ è bella questa comprensione che entusiasma immediatamente, quasi ancora inespressa, sulla base di un’affinità che ha radici antiche, viene da lontano, e non è stata sconvolta dal male e dalla confusione. Non abbandonarci più sulla base dell’ intimità più profonda: che questo aiuti te e me, ciascuno di noi secondo il suo bisogno, la sua tribolazione, la sua debolezza. Se la grande città ti aggredisce troppo freneticamente, pensa, Hannah, agli alberi svettanti che si innalzano davanti a noi sulle montagne invernali nell’ aria lieve del mezzogiorno.”[4] Dopo un’ interruzione dal 1955 al 1965, H. Arendt ed Heidegger riprendono a scriversi e a vedersi nell’ ultimo decennio della loro vita; nell’ ottobre 1966, Heidegger scrive ad H. Arendt: ”Per il tuo sessantesimo compleanno ti saluto affettuosamente e ti auguro, per l’incipiente autunno della tua esistenza, di essere all’ altezza dei compiti che tu stessa ti sei proposta, e di quelli che ti attendono anche se ancora non lo sai.
La gioia del pensiero continuerà a manifestarsi spontaneamente sempre nuova e sarà accompagnata dalla consapevolezza di ciò che oggi, in questo mondo confuso, il pensiero è ancora in grado di fare. Ma è già abbastanza se gli è in qualche modo consentita una trasmissione sotterranea……
“Tre soggiorni in Grecia compiuti con Elfride – in parte in crociera, in parte a Egina – mi hanno manifestato una cosa, ancora non abbastanza pensata, che cioè “ la A-Letheia non è affatto una semplice parola, e neppure l’ oggetto di una riflessione etimologica, ma piuttosto la potenza ancora dominante della presenza di tutte le essenze e le cose.”
Alla lettera è allegato la lirica di Holderlin “L’ Autunno”:
“Visione eccelsa è lo splendore di natura,
là dove il dì con molte gioie termina
ed il fulgor dell’ anno si conclude,
dove insiem brillan lietamente i frutti.
Si adorno è l’ orizzonte e raro s’ ode
un suon per campi aperti, il sole scalda
del dolce autunno i dì, sta la campagna
quale vasta veduta, l’ aure soffiano
traverso a rami e fronde in fruscio lieto:
quando già in vuoto i campi si trasformano
vive il pien senso delle chiare immagini,
come imago in fulgor aureo sospesa. [5]
H. Arendt scrive l’ ultima lettera il 27 luglio 1975 e chiede ad Heidegger quando può recarsi a Friburgo; Heidegger le risponde che il giorno più favorevole sarebbe il 12 agosto; in effetti Arendt si recò a Friburgo il 12 agosto, come è attestato dalla dedica manoscritta sull’ opuscolo relativo al necrologio della sua collaboratrice Hildegard Feick, datata 12 agosto 1975. Questa fu l’ultima visita di H. Arendt a Heidegger: morì il 4 dicembre 1975 a New York colpita da un secondo infarto; era stata colpita dal primo il 5 maggio 1974 dal quale si era ripresa, sia pure lentamente.
Heidegger scrisse ad Hans Jonas, che aveva tenuto l’ orazione funebre in occasione dei funerali, ricordando, brevemente la visita di H.Arendt nell’agosto e i progetti di lavoro di entrambi, ma un “destino più alto è prevalso, in contrasto con i progetti umani.”[6]
Heidegger morirà il 26 maggio 1976.
CONTESTO STORICO
L’ ASCESA AL POTERE DI HITLER
a) elezioni del 31 luglio 1932 il partito nazista raggiunge il 37,4% dei consensi, il governo fu affidato al conservatore Von Papen;
b) 12 settembre 1932 il Parlamento con la maggioranza di 512 voti contro 42 votò la sfiducia a von Papen , il parlamento viene sciolto; furono fissate nuove elezioni a settembre; i nazisti scesero al 33, 1% di voti (persero due milioni di voti); fu scelto quale cancelliere von Shleicher, ma il Parlamento non diede il suo consenso a Scleicher che cercò di avere l’ appoggio dei sindacati, ma inutilmente; per cui il capo dello stato Hindenburg, con il consenso di tutta la destra, affidò l’incarico di cancelliere a Hitler;
c) 27 febbraio 1933 incendio del Parlamento; l’ attentato fu, quasi sicuramente, organizzato da Goring, ma fu attribuita la responsabilità ai comunisti; Hitler convince Hindenburg a firmare un decreto con il quale vennero sospese le libertà individuali e civili; migliaia di funzionari comunisti, socialdemocratici, liberali e cattolici e alcuni parlamentari furono arrestati e torturati;
d) Solo i nazisti poterono condurre una campagna elettorale e raggiunsero il 43,9% dei voti, non ebbero la maggioranza assoluta e, con i 52 seggi conquistati dai nazionalisti ebbero la maggioranza sia pure esigua (16 seggi); ma non ebbero la maggioranza necessaria per introdurre modifiche costituzionali (occorrevano e i due terzi di voti);
e) 23 marzo 1933 si riunisce il Parlamento e Hitler presenta un decreto per la concessione al governo dei pieni poteri e l’ esercizio per quattro anni del potere legislativo con la clausola che le leggi “avrebbero potuto discostarsi dalla costituzione”. Il decreto, con la sola opposizione dei socialdemocratici venne approvato dal Parlamento;
f) Soppressione dei sindacati non nazisti, scioglimento di tutti gli altri partiti; nel luglio 1933 si stabilì che solo il partito nazista era l’ unico legittimo; si procedette ad una “epurazione” della burocrazia allontanando tutto il personale che era giudicato “poco affidabile”; dal 1 luglio fu lanciata una campagna di boicottaggio contro i commercianti ebrei.
g) Giugno 1934: Hitler ordinò ai reparti delle SS e della Gestapo di trucidare Rohm e tutti i suoi principali collaboratori; vennero uccisi anche von Schleichr e Gregor Strasser (capo dei sindacati nazisti) (notte dei lunghi coltelli) Con una legge si stabilì che tali uccisioni erano state effettuate per difendere lo Stato;
h) Agosto 1934 muore Hindenburg, Hitler si autonominò presidente del Reich;
i) Hitler è ormai il Fuhrer della Germania: non è un semplice capo di Stato. Il Fuhrer non è rappresentante del popolo ma è “il popolo” ciò significa che è la fonte stessa del diritto, la sua volontà è legge dello Stato.
I CAMPI DI CONCENTRAMENTO E QUELLI DI STERMINIO
Per quanto riguarda la storia dei Lager, si può distinguere quattro momenti:
a) I campi di internamento: giunti al potere i nazisti organizzarono dei campi dove venivano internati gli oppositori; alla fine del 1933 ne esistevano in tutta la Germania una cinquantina e vi erano circa 27.000 internati. I campi più importanti erano quelli di Dachau vicino a Monaco, inaugurato il 22 marzo 1933, e quello di Oranienburg, poi sostituito da Sachsenhausen, vicino a Berlino. In tali campi affidati, inizialmente alle SA e alle SS, vi erano rinchiusi gli oppositori politici e gli individui “asociali” che comprendevano alcolizzati e criminali comuni. Il numero di questi campi continuò ad aumentare negli anni successivi; nel 1939 venne costruito il lager di Mauthausen destinato agli antinazisti austriaci,. Al momento dello scoppio della guerra. Le condizioni di vita nei campi erano terribili e disumane.
b) I campi di deportazione: all’inizio della guerra circa 1.200.00 Polacchi furono deportati nei campi in zona Polacca e, nell’ ottobre del 1939, iniziò la deportazione degli Ebrei dall’ Austria, dalla Cecoslovacchia e dalle città tedesche.
c) I campi di sterminio: nel maggio 1941, in previsione dell’ attacco all’URSS, furono formati quattro reparti speciali delle SS che doveva affiancare l’avanzata dell’ esercito, con l’ incarico di uccidere gli Ebrei dei territori conquistati. Successivamente, il 20 gennaio 1942 si tenne a Wannsee, presso Berlino, una conferenza presieduta da Heydrich ed alla quale parteciparono i responsabili di diversi dicasteri; nella conferenza si decise che la soluzione finale della questione ebraica doveva essere lo sterminio di tutti gli Ebrei. A tale scopo si decise di organizzare appositi impianti, in cui le esecuzioni potessero avvenire in modo sistematico. I campi di sterminio furono collocati in Polonia: il primo fu Chelmno, dove potevano essere uccise 1000 persone al giorno (in totale vi morirono 300.000 Ebrei), seguirono quelle di Belzec per 15.000 persone al giorno (in totale vi morirono 600.000) Sobibor per 20.000 persone vi morirono in totale 250.000 Ebrei) e Treblinka dove furono uccisi 1.850.000 ebrei. Il 14 giugno del 1940 venne costruito il campo di Auschwitz dove a partire dal settembre 1941 venne utilizzato il gas a base di cianuro Zyklon B per l’ uccisione di massa. I prigionieri venivano trasportati nei campi con i treni, appena arrivati erano avviati nelle camere a gas; con questo sistema ad Auschwitz furono uccisi circa 4 milioni di persone. I campi di sterminio o di concentramento furono in tutto circa 900; la maggior parte dei campi di sterminio erano ubicati in Polonia, quelli di concentramento Germania; la strage, pianificata con burocratica precisione, fu in continuo aumento fino al 1944; alla fine della guerra i morti erano circa 6 milioni. Anche gli Ebrei degli stati alleati alla Germania, furono avviati ai Lager; dall’ Italia furono avviati ai campi circa 8500 Ebrei, solo un migliaio fece ritorno. In Italia funzionava quale campo di sterminio la Risiera di San Sabba presso Trieste.
Alla fine del 1944 lo sterminio fu sospeso ed Himmler dette ordine che gli impianti dell’Europa orientale fossero distrutti prima dell’arrivo dei Sovietici, anche gli archivi dovevano essere distrutti o trasferiti. Coloro che si trovavano nei lager furono uccisi o trasferiti verso lager più a occidente; Auschwitz fu evacuata nel gennaio 1945.
LA GUERRA DI TROIA COME PARADIGMA
Già Hegel, nelle “Lezioni sulla filosofia della storia,” aveva osservato che «Come la guerra troiana è l’inizio della realtà della vita greca, così Omero è il libro fondamentale per l’inizio della rappresentazione spirituale».
La caratteristica di «originalità» della guerra di Troia è colta anche dalla Arendt che considera l’Iliade la metafora per eccellenza della condizione umana:
“Cantami, o Diva, del Pelide Achille
l’ ira funesta, che agli Achei fu causa
di doglie infinite,
e molte alme d’eroi gagliardi travolse nell’orco,
e i corpi abbandonati preda ai cani,
banchetto agli uccelli.” [7]
Così, intona Omero il suo poema e, nel XV canto, le parole che Ulisse rivolge ad Agamennone ben sintetizzano il destino dell’ uomo:
“Noi siamo da Giove destinati
sin da fanciulli a penare
nel duro travaglio di guerra
sino a vecchiaia, finché ciascuno
di noi cada spento”
La guerra di Troia assume un valore simbolico, costituisce il «conflitto originario» da cui si dipana tutta la storia dell’occidente.
La Arendt nel saggio “Sulla violenza” osserva che chiunque abbia avuto occasione di riflettere sulla storia e sulla politica non può non essere consapevole dell’enorme ruolo che la violenza ha sempre svolto negli affari umani; e nell’opera sulla “Rivoluzione” evidenzia come la rivoluzione sia legata da un nodo inestricabile alla violenza ed alla forza: «l’importanza del problema del cominciamento o genesi del fenomeno della rivoluzione è ovvio. Che tale cominciamento debba essere intimamente connesso con la violenza sembra confermato dalla leggendaria genesi sia nella tradizione biblica sia in quella classica: Caino assassina Abele e Romolo assassina Remo, la violenza è stata l’inizio e nessun inizio ha potuto esistere senza violenza, senza una violazione...».[8]
Ma la violenza non è mai risolutiva. Nel trattato Sulla violenza, H. Arendt polemizza con Sartre che, nella prefazione all’opera di Fanon “I dannati della terra,” esalta la violenza: la Arendt sostiene che il «mito della violenza» è «più astratto, ancora più lontano dalla realtà, di quanto non sia mai stato il mito dello sciopero generale di Sorel....Leggendo queste grandiose ed irresponsabili affermazioni ... e guardando ad esse nella prospettiva di quanto sappiamo nella storia delle rivolte e delle rivoluzioni si è tentati di negare loro qualsiasi significato, di attribuirle ad uno stato d’animo passeggero, o all’ignoranza di gente esposta ad avvenimenti e a sviluppi senza precedenti, sprovvista di qualsiasi mezzo per affrontarli mentalmente, la violenza è certamente in grado di distruggere il potere, ma non di crearlo e, pur essendo inalienabile dalla convivenza umana, tuttavia non può assumere un ruolo esclusivo, pena il completo dissolversi della convivenza umana.”[9]
Secondo la Arendt un elevato «tasso» di violenza caratterizza la società contemporanea poiché è venuto meno il principio della responsabilità individuale (dove tutti sono colpevoli nessuno lo è) e predomina la «burocratizzazione» del potere per cui si è affermato il dominio di un intricato sistema di uffici per cui nessuno, né uno né i migliori, né i pochi né i molti, può essere ritenuto responsabile. L’affermarsi della burocrazia priva l’uomo della facoltà d’agire che, secondo la Arendt, costituisce la dimensione specifica della «identità umana», è venuta meno la dimensione autenticamente politica. che la Arendt individua nella polis greca.
Ciò non significa che la Arendt proponga una visione mitizzante della polis, quasi che il mondo greco costituisca una “sorta” di «eden»; la polis rappresenta un termine di confronto con il mondo attuale; d’altra parte l’esperienza greca, non si può considerare come superata e totalmente conclusa; i temi della libertà, della responsabilità di ciascuno e della giustizia costituiscono il fulcro della meditazione di Platone e di Aristotele e sono, tuttora, oggetto d’indagine e riflessione: nell’era della globalizzazione dell’economia e della politica, la ricerca relativa a che cosa sia la giustizia e la difesa della “cittadinanza democratica” appaiono irrinunciabili, onde evitare la “massificazione” e la distruzione della coscienza individuale.
La Arendt considera la polis quale modello ideale dell’agire politico;” l’agire ed il discorso, anzi, hanno, forse, preceduto la stessa fondazione della polis, se già Omero sostiene che Achille è autore di “grandi imprese e pronuncia grandi discorsi”, mentre la violenza è muta ed ha solo natura “strumentale” e la vittoria della violenza sfocia nel terrore che appare l’unico mezzo per mantenere il potere e la dominazione.
Il “giudizio” costituisce un elemento fondamentale dell’attività politica; mentre la rivoluzione era (ed è) caratterizzata dalla violenza: vince chi usa la violenza con maggior determinazione. La rivoluzione è «a strugle for power»: essa «divora i suoi figli», è una tempesta che tutto spazza via e sommerge.
La Arendt nel saggio “Sulla rivoluzione” contrappone la rivoluzione francese a quella americana e ritiene che solo quest’ultima sia contraddistinta dalla partecipazione alla vita pubblica, dall’autogoverno, dalla libertà politica. Ciò non deve indurre a credere che la Arendt abbia una visione acritica della rivoluzione americana, anzi evidenzia come l’affievolirsi dello spirito rivoluzionario non abbia consentito il realizzarsi di «istituzioni durature per la formazione di idee e pareri nel pubblico» e sottolinea come Jefferson sia forse l’unico uomo politico ad essere consapevole che le istituzioni non dovevano essere rese immutabili, perché nulla è immutabile se non gli inalienabili diritti dell’uomo. Infatti, egli propose di inserire nella Costituzione una clausola «per un controllo a periodi determinati» e di dare forza alle assemblee dove i cittadini potessero «esprimere, discutere, decidere»[10] e non avesse solo attuazione il sistema della rappresentanza. La sfera politica, pertanto, sorge direttamente “dall’agire insieme, dal condividere parole e azioni”; condividere parole significa comunicare gli uni con gli altri in merito alle questioni che riguardano l’umanità in generale; il giudizio è, quindi, una facoltà razionale «politicamente molto importante»;[11] il giudizio è correlato alla socievolezza dell’uomo ed implica la libertà politica intesa come «fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi».
LE RIFLESSIONI SUL TOTALITARISMO
Il concetto di “totalitarismo” è nato nel ‘900 con riferimento al fascismo italiano: G. Amendola in un articolo pubblicato sul “Mondo”, definisce il fascismo come un “sistema totalitario” in quanto esercita un dominio assoluto ed un controllo completo in campo politico ed amministrativo; come sostantivo è introdotto da Lelio Basso che, nel 1925, lo riferisce al partito unico fascista; lo stesso Mussolini rivendica per il fascismo una “volontà totalitaria”. Attualmente il termine è usato per indicare una forma politica priva dei controlli parlamentari, caratterizzata dal partito unico, dalla soppressione delle garanzie di libertà e del pluralismo proprie dello Stato di diritto.
Secondo R. Aron, la novità del totalitarismo, rispetto altre forme autoritarie, è data dal partito unico; per altri il totalitarismo si basa sull’ uso degli strumenti offerti dalla comunicazione tecnologica e sulla legittimazione delle masse; F.von Hayek considera aspetti tipici del totalitarismo la distruzione della libertà economica quale conseguenza della pianificazione centralizzata ed una tecnostruttura burocratica che controlla ogni aspetto della vita sociale.
In sostanza caratteristiche tipiche del totalitarismo sono: preminenza del partito unico, antipluralismo politico e sociale, ideologia del “nemico oggettivo” per tener alto il livello di mobilitazione delle masse, l’ impiego massiccio delle tecniche di comunicazione come mezzo di propaganda, l’uso sistematico del terrore come strumento di governo.
H. Arendt nello scritto “Origine del totalitarismo”, pubblicato nel 1951, conduce un’ accurata analisi del sistema politico totalitario manifestatosi in Germania ed nell’Unione Sovietica. H. Arendt sostiene che nei regimi totalitari la condizione delle persone è caratterizzata dall’isolamento nella sfera politica e dall’estraniazione in quella dei rapporti sociali. Gli uomini non sono più cittadini, ma individui isolati, dominati dalla paura e dal sospetto che avvelena tutti i rapporti sociali. Il sospetto, la provocazione, le denunce degli oppositori sono elementi tipici di tutti i regimi dittatoriali; ma solo nelle forme di gestione totalitaria del potere costituiscono il fondamento di tutta l’organizzazione dello Stato.
Nei regimi totalitari viene elaborato il concetto di «nemico oggettivo» che differisce dal “sospetto” delle polizie segrete dispotiche: gruppi, categorie, classi vengono via via individuate quali oppositori del regime ed eliminate in quanto potenzialmente pericolose. Il concetto di “nemico oggettivo» varia a seconda delle circostanze: Hitler aveva previsto che, concluso lo sterminio degli ebrei, si sarebbe dovuto procedere all’eliminazione del popolo polacco; nell’ Unione Sovietica il terrore venne rivolto contro i kulaki, all’ inizio degli anni trenta contro i russi di origine polacca tra il 1936 e il 1938, contro i tartari e i tedeschi del Volga durante la guerra, contro gli ex prigionieri di guerra e contro gli ebrei russi dopo la creazione dello stato ebraico. Il “nemico oggettivo” costituisce l’ idea centrale del “pensiero giuridico totalitario” e viene sostenuto in base al principio che il regime totalitario “non è un governo in senso tradizionale, bensì un movimento la cui avanzata incontra sempre nuovi ostacoli che devono essere eliminati”[12]
La «creazione» del “nemico oggettivo”, insieme al partito unico, alla polizia segreta, all’estraniazione degli individui, al controllo di tutti i mezzi d’informazione, alla burocratizzazione di tutti i gangli dello Stato e della società civile costituiscono gli elementi propri dei governi totalitari che vengono identificati dalla Arendt nel nazismo e nello stalinismo. Secondo la Arendt il totalitarismo costituisce una delle forme politiche specifiche della società contemporanea e, benché sia crollato sia in Germania che nell’ ex Unione Sovietica, tuttavia nelle moderne società di massa può sempre risorgere. Nessun sistema politico contemporaneo è immune da tale degenerazione (si può osservare che quando si opera in nome di ideologie «astratte» e «fondamentaliste» che proclamano la necessità di operare una «trasformazione integrale dell’umanità» il rischio del totalitarismo è sempre presente: H. Arendt delinea un quadro della situazione sociale .che si è configurata in Europa: i legami nazionali e religiosi sono venuti meno, gli individui hanno smarrita la loro personalità e formano una “massa disorganizzata e amorfa di individui pieni d’ odio.”[13] La caratteristica principale dell’ uomo di massa è l’ isolamento e la mancanza di normali relazioni sociali, la propaganda degli stati totalitari si rivolge a questa umanità dando “alle proprie affermazioni la forma di predizioni, portando al massimo l’ efficienza del metodo e l’ assurdità del contenuto, perché dal punto di vista demagogico non c’ è un modo migliore, per evitare la discussione, che svincolare un argomento dal controllo del presente dicendo che soltanto il futuro può rivelarne i meriti.”[14] Il terrore e la polizia sono i due strumenti di cui si avvalgono i regimi totalitari per creare paura e sottomissione; il principio del “nemico oggettivo” viene applicato per eliminare tutti coloro che potevano costituire un ostacolo alla formazione di una nuova razza e dell’ “uomo nuovo”; secondo tale ottica il regime nazista, negli ultimi anni, programmò lo sterminio degli ebrei, dei polacchi, degli ucraini, dell’intellighenzia dell’Europa occidentale, degli olandesi, della popolazione dell’ Alsazia - Lorena, dei tedeschi che sarebbero stati squalificati in base alla progettata legge sanitaria del Reich o a quella sugli estranei alla comunità allo scopo di attuare una progressiva selezione, sterminando tutti i gruppi umani considerati indesiderabili e poter creare l’ impero mondiale germanico.” Analogamente, le “purghe” staliniane, l’ eliminazione dei kulaki, le accuse di cospirazione con lo straniero, la soppressione dello sciamanesimo delle regioni siberiane in nome della “erigenda nuova società sovietica,”[15] avevano lo scopo di affermare la dittatura del proletariato e di fare dell’ URSS il “centro della rivoluzione internazionale.”
Ideologia e terrore costituiscono le due armi di cui si avvale il totalitarismo: mediante l’ ideologia, vengono manipolate le masse, con il terrore si “soggioga” completamente la popolazione: il terrore costituisce la “vera essenza” del regime totalitario. L’ ideologia si afferma grazie alla propaganda che si basa, esclusivamente, sulla profezia di un futuro che vedrà la realizzazione di un mutamento totale della società. L’ideologia totalitaria “non mira alla trasformazione delle condizioni esterne dell’ esistenza umana nè al riassetto rivoluzionario dell’ ordinamento sociale, bensì alla trasformazione della natura umana che, così com’ è, si oppone al processo totalitario. I Lager sono i laboratori dove si sperimenta tale trasformazione, e la loro infamia riguarda tutti gli uomini, non soltanto gli internati e i guardiani. Non è in gioco la sofferenza…né il numero delle vittime. E’ in gioco la natura umana in quanto tale.”[16]
I totalitarismi operano una completa cancellazione dell’ essere umano, il terrore distrugge tutti i legami fra gli uomini che perdono il contatto con i loro simili e con la realtà che li circonda: “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’ individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più.”[17] Il terrore raggiunge il culmine quando viene organizzata una distruzione degli esseri umani sistematica e in modo burocratico: persone innocenti vengono condotte nei lager e sono eliminati- nelle camere a gas che erano destinate a gruppi numerosi (ebrei, zingari, polacchi); persino la morte è resa anonima a suggellare la perdita di ogni umanità da parte dei condannati, non rimangono che “sinistre marionette con volti umani” che si lasciano uccidere senza protestare.
H. Arendt conclude la sua opera con un severo ammonimento: anche se i governi totalitari hanno fallito i loro disegni, tuttavia il totalitarismo potrebbe sempre rinascere nell’ odierna società di massa; occorre, quindi, esercitare una vigilanza continua per difendere i valori di libertà; esprime, però, anche una speranza: che ogni nuova nascita dia origine ad un nuovo inizio: La storia umana non è sottoposta a leggi, ma si snoda in modo imprevedibile, nulla è già stato deciso.
“La crisi del nostro tempo e la sua esperienza centrale hanno portato alla luce una forma interamente nuova di governo che, in quanto potenzialità e costante pericolo, ci resterà probabilmente alle costole per l’ avvenire, al pari di altre forme che apparse in momenti storici diversi e basate su diverse esperienze di fondo, hanno accompagnato dopo d’allora l’umanità a prescindere dalle temporanee sconfitte: monarchie e repubbliche, tirannidi, dittature e dispotismo.
Ma rimane altresì vero che ogni fine della storia contiene necessariamente un nuovo inizio; questo inizio è la promessa, l’ “unico” messaggio che la fine possa presentare. L’inizio, prima di diventare avvenimento storico, è la suprema capacità dell’ uomo; politicamente s’ identifica con la libertà umana “Initium ut esset, creatus est homo”[18]. Questo inizio è garantito da ogni nuova nascita; è in verità ogni uomo.
BIBLIOGRAFIA
Arendt H., Che cos’ è la politica, Edizioni di Comunità, 2001;
Arendt H., Sulla violenza, Editore Y. Guanda,1996;
Arendt H. Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, 1996;
Arendt H. Sulla rivoluzione, Edizioni di Comunità, 1983;
Arendt H. Teoria del giudizio politico, Il Melangolo, 1990;
H. Arendt -Martin Heidegger, Lettere 1925-1975, Edizioni di comunità, 2001;
Esposito R., L’origine della politica, Donzelli Editore, 1996;
Kristeva, J., Hanna Arendt, La vita, le parole, Donzelli Editore, 2005;
Leibovia M., Hanna Arendt, Città aperta edizioni, 2002.
NOTE
[1] H. Arendt – M. Heidegger, Lettere 12925-1975,Edizioni di Comunità,2001, soc. N. 3, p.6..
[2] H.Arendt – M. Heidegger, ib. lettera N. 43, p.48.
[3] H. Arendt – Heidegger, ib., lettera n. 49,p.55.
[4] H. Arendt - M. Heidegger, lettera n. 55 in Lettere 1925 – 1975, Edizioni di Comunità,1998, p. 63-65.
[5] H. Arendt –M. Heidegger , op., cit., lettere n. 91.
[6] H. Arendt –M. Heidegger, op., cit., lettera n. 168
[7] Omero Iliade, I
[8] H. Arendt, Sulla violenza, Ugo Guanda Editore,1996.
[9] H. Arendt, Sulla violenza, p. 24/25
[10] H. Arendt, Sulla Rivoluzione, Edizioni di Comunità, 1983.
[11] H.Arendt, Sulla Rivoluzione, Edizioni di Comunità, 1983, p. 264
[12] H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, 1996, pp. 581-582.
[13] H. Arendt, op., cit., p. 436.
[14] H. Arendt, op.., cit., p. 478
[15] In seguito alla repressione staliniana, gli sciamani scomparvero e il silenzio calò anche sul termine “sciamanesimo” che divenne una parola tabù; si interrompono,salvo poche eccezioni, gli studi sullo sciamanesimo
[16] H. Arendt, Le origini del totalitarismo, op., cit., p. 628.
[17] H. Arendt, Le origini del totalitarismo, op., cit., p. 649
[18] Sant’ Agostino, De Civitate Dei, libro 12, cap. 20 “affinché ci fosse un inizio, è stato creato l’uomo”